Spesso del passato abbiamo una idea abbastanza idilliaca, e a voler ben vedere anche un po’ eccessivamente idealizzata: se pensiamo per esempio alle città, le immaginiamo fatte di case basse, cieli liberi e luminosi, e orizzonti sgombri, ben diversi dalle moderne skyline fatte di grattacieli. A dirla proprio tutta, non abbiamo proprio ragione: già a Roma antica, nei quartieri più poveri, sorgevano le insulae, veri e propri condomini a molti piani con piccoli appartamenti. Ma tutto sommato, non stiamo sbagliandoci di tanto quando pensiamo che la diffusione significativa di palazzi alti come quelli a cui siamo abituati è un fatto degli ultimi cent’anni: ed è un avvenimento che ha del tutto trasformato il modo in cui viviamo, lavoriamo, e ci muoviamo. Fra i suoi effetti curiosi c’è stato quello di far diventare pressochè indispensabile un’invenzione che era lungamente stata relegata prima fra le curiosità e poi nei cantieri e nelle industrie, ossia l’ascensore. Dai primi modelli a corde, prima di giungere ai moderni e compatti ascensori per disabili, il tragitto di questo congegno è stato durevole e tortuoso.
La cronistoria dell’ascensore è, in effetti, ben più antica di quanto si pensi: ne abbiamo le prime menzioni negli scritti di Vitruvio, un costruttore dell’antica Roma, che ci riporta come il celebre Archimede ne avesse realizzato uno nel 236 AC. Si tratta, naturalmente, di semplici cabine sollevate da corde, le quali venivano tirate o da animali o da esseri umani, e pare che ve ne fossero di installati nel convento del Sinai, in Egitto. In ogni caso, a quei tempi, rimanevano niente più che stranezze, pezzi unici: un uso regolare dello strumento richiedeva sistemi ben più sofisticati di una corda tirata a braccia. Tralasciando l’interessante esemplare di ascensore basato sulla vite senza fine progettato da Kulibin, in Russia, nel 1793, che venne installato nel Palazzo d’Inverno, per rintracciare un uso intenso e comune di questo strumento dobbiamo aspettare la piena metà dell’Ottocento, quando iniziò a trovare utilizzo pesante nello spostamento di materiali da costruzione e per l’industria.
In questa epoca storica, per ascensore si intendeva un congegno di genere strettamente idraulico: una cabina montata su un lungo stantuffo, che veniva spinto da una colonna d’acqua grazie all’azione di una pompa e così si estendeva, portando i passeggeri all’altezza predefinita. Questi impianti raggiunsero una significativa notorietà, se pensiamo che a Londra, nel 1882, la London Hydraulic Power Company aveva in gestione una rete di miglia e miglia di tubi ad alta pressione su ambedue le sponde del Tamigi, che andavano ad attivare 8000 dispositivi fra gru e, precisamente, ascensori. Nondimeno è un procedimento oberato da un serio difetto: richiede uno stantuffo, e quindi un pozzo e una colonna d’acqua, alto come il piano più alto da raggiungere, e diventa quindi in fretta poco pratico al crescere dell’effettiva altezza del palazzo che deve servire. Fu per questo che gli ascensori idraulici finirono con l’andare in disuso, per essere sostituiti da sistemi a cavi e carrucole, la cui sicurezza era garantita dall’invenzione di un apposito freno di emergenza in caso di rottura del cavo, realizzato da un nome destinato a diventare famoso nel settore: Elisha Otis. Fu proprio lui che, nel 1858, installò il primo ascensore per passeggeri al numero 488 di Broadway, a New York, dando inizio ad una diffusione che venne soltanto incrementata quando, trent’anni dopo, Von Siemens e Fressler svilupparono l’ascensore elettrico che anche noi oggi utilizziamo.